Commento del regista
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E da qualche anno che tendo, come tanti, a dire e pensare che la marineria della mia città natale non esista più. Probabilmente perchè alle immagini del porto di oggi si sovrappongono, emergendo prepotentemente dal cuore, quelle di quando eravamo (più) piccoli. Ricordi ancora vivi di un porto gremito, dove scafi stipati come sardine in una cassetta troppo piccola "sgomitavano', accarezzati dal vento, fremendo nervosi per quella stasi momentanea, come in balla di un'indomita impazienza di riprendere il largo. La stessa dei marittimi che, richiamati da sirene invisibili, gravitavano, quando non impegnati in mare, nella zona portuale. Con mille scuse. Per mille ragioni. Sempre.
I porti delle cittadine italiane, oggi, sono comunque ricchi. Di un'umanità variegata e strabordante, caciarona e instancabile. Multietnica: nordafricani, cingalesi, indiani, egiziani. E anche italiani, certo. Certamente pure locali: ed e proprio questo i punto. La marineria non è morta. Affatto. Credo di aver sempre commesso un errore pensandola così, per quanto in buona fede possano farsi certi discorsi, e credo che quella definizione sia intellettualmente e tecnicamente errata: la marineria di Fano non è morta e non morirà almeno fino a quando si potranno sentire gli echi intercalanti dei cugio! e dei ció!, provengano essi da bordo dei natanti, tra le reti a terra o sugli orli delle banchine.
Marinai, de Fan, che lavorano, oggi, con la medesima forza e passione degli anni passati: nè piu, nè meno. E nonostante tutto. Per una necessaria questione di rispetto ritengo occorra abbracciare questo pensiero (che diventi, di fatto, consapevolezza) prima di affermare, in quegli impulsivi, dolorosi afflati nostalgici tipici della nostra specie: en c'è più niènt, en c'è armàst più nisciùn (non c'è piu niente, non c'è rimasto più nessuno). Fosse ancora presente anche solo uno, dei nostri marinai, ed uno soltanto. Uno, ed uno soltanto.
La parte online del progetto Pescamare è quasi esclusivamente dedicata alla Memoria, ai ricordi, ai nostri vecchi lupi di mare, alle storiche famiglie che hanno donato alla nostra città validi parón e operosi marinai, maestri nelle attrezzature e nei sistemi di pesca. L'omonimo documentario, invece, intende raccontare e omaggiare non solo ciò che fu ma anche (e soprattutto) cio che è; non solo quelli che furono, ma anche quelli che SONO. L'auspicio di una rinascita generale che riporti le marinerie delle cittadine italiane agli antichi fasti penso debba passare anche attraverso la doverosa affermazione di questa presenza.
In un componimento in vernacolo di qualche tempo fa, cosl tentavo di esprimere il concetto: se i guardi sa'l còr, ancora più a fond - senti le vóc' e le ónd e i crucai: atóri d'un film, persunàgi d' un mónd - t'un "cinema" apért e ch'én vrìa chiuda mài. (Se li guardi con il cuore, ancora più in profondità, senti le voci, il rumore delle onde ed il verso dei gabbiani. Sono come attori di un film, personaggi di un mondo in un cinema ancora aperto ... e che non intende assolutamente chiudere i battenti).
Dunque come non dare loro un sostegno, un ridòss, per lo meno quello dell'anima, quello romantico, forse inutile se non addirittura patetico; quello che però, seppur per un attimo, ha la magia di farci sentire meglio come persone, come comunità, come figli di questo mare che, inevitabilmente ignaro, continua a regalarci i suoi frutti? E esattamente questo il "taglio" del lavoro: il tentativo di restituire le atmosfere legate al mónd marinàr di oggi, quelle che abbiamo avuto il privilegio di vivere, a bordo ed in terra, per questo progetto. Abbiamo quindi deciso di lasciare moltissimo spazio alle immagini, ai suoni, ai colori, in modo naturale, senza interferire ... in punta di piedi.
Pochi ma importanti concetti costituiscono il cardine di questo nostro lavoro: ricordare è doveroso. Legittimare è importante. Sperare e umano. E sognare non è infantile, mai.
Onore alla marineria fanese e a tutte le marinerie delle cittadine italiane. Di ieri, di oggi. E di domani.
Andrea Lodovichetti
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